Daniela Molinari

URL del sito web: http://www.amolamatematica.it
Venerdì, 02 Agosto 2013 15:56

Il mistero del Più

TRAMA:
Ludovico aspetta con ansia l’arrivo del postino: presto porterà la sua pagella e la mamma non sarà certo contenta di quello che leggerà. Eppure, sorpresa! La pagella gronda 9, anche in matematica. Ludovico non vede l’ora di comunicarlo agli amici, ma Antonio, Carla e Giulio non sono contenti. Carla, addirittura, ha preso quattro in matematica, proprio lei che è forse la migliore studentessa dell’istituto. Quando capiscono l’errore, i tre amici pensano che il responsabile sia Ludovico e cominciano a inseguirlo. Ludovico trova una via di fuga nel giardino del professor Rosolindo, suo insegnante di matematica alle scuole medie. Una volta capito il problema, il professore suggerisce la soluzione: Ludovico deve andare nel mondo di Aritma, per correggere l’errore nelle somme, aggiustando il guasto della macchina sulla Montagna del Più. 
Giunto nel Giardino delle Ipotesi, dove le ipotesi sono dei frutti che nascono, maturano e cadono alimentando la terra, Ludo può andarsene solo risolvendo un quesito matematico. Giunge poi ad Aritma, la capitale, dove un gigante di quattro metri, con una corporatura poderosa e un viso doppio, Arcibaldo, lo sottopone ad un nuovo test per consentirgli di entrare in città. Indirizzato alla Taverna della Funzione Crescente, Ludo vi trova Gill, che provvede alla sua cena e lo porta all’Hotel H, dove Ludo può passare la notte, non senza dover risolvere alcuni quesiti: infatti, Georg, il portiere, deve accogliere infiniti clienti, ma l’albergo è già pieno. 
Dopo una colazione a base di Succo di Ipotesi in bottiglia di Klein, tori, bitori e tritori appena sfornati, Ludovico trova Persefone ad attenderlo nella hall. È stata mandata da Gill e, insieme a Jean-Pierre, Maurice e Constance costituisce il Circolo del Doppio Lucchetto, una specie di gruppo segreto di controllo che si assicura che nulla turbi il delicato ciclo della vita di Aritma. Anche ad Aritma, come sulla Terra, c’è un ciclo dell’acqua: dalla Grande Nuvola piovono numeri, che precipitano all’interno delle montagne del Più e del Per, dove, attraverso le operazioni, vengono trasformati in numeri diversi. Passando attraverso la Gola del Diviso e la Grotta del Meno, i numeri raggiungono infine tutte le zone di Aritma. Ma l’equilibrio è ora compromesso: le operazioni che avvengono all’interno della Montagna del Più non danno più il risultato corretto e quindi le acque si inquinano. Purtroppo, i membri del Circolo del Doppio Lucchetto non possono intervenire sulle grandi macchine, perché i postulati lo vietano loro, ma possono aiutare Ludovico a raggiungerle. 
Persefone, Constance e Jean-Pierre cominciano il viaggio verso Cistella, attraverso il Lago dei Complessi, Maurice e Ludovico attraversano invece la Foresta dei Teoremi, per incontrare Moritz, che ha i progetti della Macchina del Più. Al limite della Foresta, però, Ludovico viene rapito e si risveglia in una prigione, dove verrà condannato a giocare a scacchi o ad intagliare i pezzi della scacchiera nei sotterranei, a seconda delle sue abilità. Fortunatamente, una folla di farletti interviene a liberarlo e a portarlo da Helix, che gli concede un po’ della sua edera laterale per attraversare la Palude dei Controesempi e raggiungere Cistella. Grazie al Succo di Ipotesi, riesce a raggiungere il Laboratorio Limpidacqueo, dove lo aspettano i membri del Circolo del Doppio Lucchetto. Dopo aver programmato nei dettagli la salita alla Montagna del Più, all’alba Ludovico parte con Maurice per raggiungere la Macchina del Più.
Il suo intervento salva la situazione, ma non gli evita lo scontro con la madre, che ha ricevuto la vera pagella…
 
COMMENTO:
Simpaticissime le trovate dei due autori: la Taverna della Funzione Crescente, la Foresta dei Teoremi, il Lago dei Complessi e la Palude dei Controesempi, non parliamo poi dell’effetto del Succo di Ipotesi, che sicuramente ogni alunno con difficoltà in matematica vorrebbe assaggiare! I problemi che si incontrano nel testo, poi, fanno sentire protagonista il lettore, visto che dalla soluzione dei problemi dipende il proseguimento della storia: è come se ognuno di noi fosse mandato ad Aritma per aggiustare la Macchina del Più. 
Simpatico e semplice, il libro può essere “gustato” da tutti, anche se sulla copertina si trova l’indicazione dai 10 ai 14 anni.
Venerdì, 02 Agosto 2013 15:54

L'assassino degli scacchi

TRAMA:
L’uomo che ascoltava le confidenze del cielo – Il racconto di come Talete ha misurato l’altezza di una piramide. Un’applicazione di geometria euclidea, semplice ma di grande effetto.
A ruote libere – La futura ingegnere Claude ha l’occasione di dimostrare la propria bravura: deve riscattare l’eredità che spetta al padre, facendo funzionare una delle invenzioni del defunto zio, apparentemente impossibili e inutili. La geometria analitica le verrà in aiuto e le permetterà di far funzionare l’ortocipede, una bicicletta con le ruote quadrate.
La prigione verde – Esiste un metodo matematico per uscire da un labirinto? La risposta ci viene fornita da un ladro, che deve fuggire ai suoi complici.
L’assassino degli scacchi – Il grande campione di scacchi Viniyarin uccide un giovane che lo ha battuto con una tattica di gioco sorprendente. Poi si costituisce. Il commissario non è convinto e, in qualche modo, trova il vero movente dell’assassinio. Un’applicazione della teoria dei grafi.
Il muro dei 100 metri – Le successioni matematiche ci insegnano che non si può andare avanti all’infinito a battere il record dei 100 metri.
La strana storia di un padrone del tempo – I numeri razionali possono insegnarci a misurare delle frazioni di secondo con un orologio che misura solo i secondi, ma gli irrazionali sono la maggior parte nella realtà: irrazionali sono le durate delle orbite dei pianeti, ad esempio.
Il gioco delle tre carte – Dove si nasconde l’asso? Un modo alternativo di scommettere a questo gioco è offerto dalla matematica, giocando con la probabilità.
Sei lettere – Viene presentato simpaticamente il quesito di una «scimmia dattilografa», proposto dal grande matematico francese Émile Borel.
Danza segreta – Un’applicazione della legge di Benford, valido aiuto per smascherare truffe contabili. Questo racconto dimostra che non è semplice simulare il caso.
Blitzkrieg su algoritmo – Un algoritmo per trovare una sequenza casuale di numeri… e vincere una guerra. Purtroppo, bisogna scegliere con attenzione anche gli algoritmi. Non è una scelta semplice, se si considera che le ricerche al riguardo proseguono ancora oggi.
La dea Logica – A volte la matematica può salvare la vita. La storia è l’adattamento di un problema posto dal matematico Todd Ebert nel 1998.
 
“Se un buon servitore si riconosce dalla capacità di essere così discreto da far passare inosservata la propria presenza, allora la matematica è tra i migliori servitori della nostra civiltà.”
 
COMMENTO:
Ogni racconto è seguito da un’appendice, che illustra nel dettaglio le teorie matematiche presentate nel racconto. Le appendici sono un invito ad approfondire, piccole spiegazioni accessibili a tutti. E la caratteristica principale del libro è proprio nella sua accessibilità: i racconti sono simpatici e piacevoli, gli spunti matematici offerti semplici ma non banali. Inoltre, i racconti ci dimostrano ciò che ci viene raccontato all’inizio del libro: la matematica è ovunque.
Venerdì, 02 Agosto 2013 15:53

Gli artisti dei numeri

TRAMA:
Christian, dodicenne con qualche piccolo problema di salute, viene mandato dai genitori con la zia Ursula in un castello in Toscana, per partecipare a una scuola estiva di matematica. Nonostante sia la sorella di suo padre, Christian non ha mai avuto molte occasioni per frequentare Ursula: la convivenza di quindici giorni li avvicinerà e, al tempo stesso, permetterà a Christian di trovare nella zia una complice e un’amica, forse grazie alla comune passione per la matematica, forse grazie al fatto che Ursula ha vissuto e quindi può capire i problemi che Christian si trova ad affrontare ora.
In questa scuola estiva, che si svolge nei pressi di Cortona, il professor Primo terrà delle lezioni sulla crittografia e, quindi, sull’affascinante mondo della teoria dei numeri. Italiano di origine, ma in America da molti anni, il prof. Primo si mostra da subito un bravo istrione, capace di conquistare la platea dei matematici e anche la simpatia di Christian, cui mancano un po’ di strumenti per capire appieno gli argomenti proposti, ma non certo la passione.
Tra i matematici convenuti a Cortona, c’è un certo Detlef, soprannominato dagli italiani del corso Il Brutto: questi si contrappone da subito al professor Primo, contestando spesso le sue presunte abilità. Il professore, infatti, ha promesso di svelare nel corso delle sue lezioni il contenuto di un manoscritto, custodito gelosamente dalla sua assistente Giustina, che dovrebbe contenere il frutto di anni di lavoro e la soluzione dell’enigma della crittografia: «Ecco il manoscritto che ho preparato per il corso. Contiene nozioni che nessuno ha ancora visto. Al termine delle due settimane saprete tutto quello che c’è scritto qui dentro. E ne saprete più di tutti gli altri studiosi».
Il tempo alla scuola estiva passa in fretta, tra gite a Cortona, chiacchierate con gli amici e codifica e decodifica di messaggi scambiati con la zia. Una notte la tranquillità della scuola viene turbata dall’urlo di Giustina che chiede aiuto, terrorizzata da uno scorpione trovato nella doccia. Un secondo urlo annuncia la scomparsa del famoso manoscritto del professore. Il mercoledì della seconda settimana, il professore “dà fuori di matto” e Christian assiste alla scena: Primo urla sguaiatamente alcune parole, mescolando un po’ di lingue e scrivendo simboli indistinguibili alla lavagna. Il professore non è in grado di mantenere le promesse fatte all’inizio del corso, che si chiude in anticipo con un vero colpo di scena.
 
COMMENTO:
Simpatico libro per i più piccoli, di semplice lettura. Leggendolo, i ragazzi possono imparare che i numeri, nella loro semplicità, nascondono una grande ricchezza e al tempo stesso rendersi conto che i matematici sono degli “artisti dei numeri”:
 
«In matematica, disse il professore, è possibile determinare ciò che è giusto mediante argomenti logici. Non c’è bisogno di litigare. Non vince il più forte, ma chi ha ragione. E tutti sono in grado di capire chi ha ragione».
TRAMA:
“Quando avevo quattordici anni cominciai a tenere un taccuino. Un taccuino di matematica. Prima che decidiate di classificarmi come un caso senza speranza, mi affretto ad aggiungere che non era destinato alla matematica che studiavo a scuola. Era un taccuino con tutte le cose matematiche interessanti che non venivano insegnate a scuola. Che, come scoprii, erano moltissime, perché presto dovetti comprare un altro taccuino”. E da quel taccuino, da quella matematica che non si fa a scuola – visto che “la matematica che avete visto a scuola non è tutto” – è nato questo libro, ricco di “rompicapi logici, rompicapi geometrici, rompicapi numerici, questioni varie di cultura matematica, cose da fare e cose da costruire”. 
Accanto a piccoli saggi “scritti in uno stile informale e non tecnico” ci sono piccoli giochi per poter stupire gli amici, oppure aneddoti divertenti o scoperte interessanti. 
 
COMMENTO:
“Quello che ho cercato di fare è stuzzicare la vostra immaginazione mostrandovi molte idee matematiche stimolanti e affascinanti. Voglio che vi divertiate, ma la mia più grande soddisfazione sarebbe che La piccola bottega vi incoraggiasse ad affrontare veramente la matematica, a provare l’emozione della scoperta e a tenervi informati sugli sviluppi più importanti, che risalgano a quattromila anni fa, alla settimana scorsa… o a domani”. 
Un libro ricco di spunti, di informazioni, di giochi… di matematica. Quindi, al tempo stesso, divertente e impegnativo. Tra i vari argomenti affrontati, ce n’è davvero per tutti i gusti. 
Venerdì, 02 Agosto 2013 15:51

I maiali matematici

TRAMA:
È mercoledì e il professor Lardoni ha programmato un compito di matematica. La Banda dei Porcelli – ovvero Lele Maiale, e i gemelli James e Billy – ha deciso di impedirgli di fare la verifica. E così, una domanda dopo l’altra, un indovinello dopo l’altro, tutti i maialini della classe riescono a distrarre il professore, fino all’arrivo del preside e dell’ispettore. Questi inizialmente si complimentano con il professore per la sua iniziativa di proporre qualcosa di nuovo ai suoi studenti, ma poi, messi in imbarazzo dalle domande degli alunni alle quali non sanno rispondere, dichiarano che forse è prematuro inserire nei programmi scolastici simili innovazioni.
 
COMMENTO:
Simpatico libretto, dedicato ai più piccini. Contiene un sacco di giochi matematici, pescati tra indovinelli noti o tra applicazioni della matematica negli ambiti più svariati, “a dimostrazione che la matematica è una materia fantastica e di straordinaria importanza”, come riconoscono gli alunni del professor Lardoni. 
I problemi cominciano a pagina 8, dopo una breve presentazione dei personaggi, e finiscono a pagina 99. Considerato che ogni problema occupa due facciate, quanti problemi ci sono nel libro?
Venerdì, 02 Agosto 2013 15:48

Una forza della natura

TRAMA:

«È stata una vita straordinaria, la sua. Nato in una foresta pluviale nella parte più a sud del globo terrestre, Ernest Rutherford era, detto molto semplicemente, un genio. Ha cambiato per sempre il modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. È stato il primo a mostrare che gli elementi non sono immutabili: possono trasformarsi in altri elementi, naturalmente, secondo quel processo per il quale usiamo le parole “decadimento radioattivo” e “tempo di dimezzamento”. Ha scoperto la struttura nucleare dell’atomo, dando inizio a un’età “eroica” per la fisica. E ha “fatto l’atomo a pezzi”. Nel 1932 lui e i suoi “ragazzi” furono i primi a farlo, o, più precisamente, furono i primi a frantumare il nucleo dell’atomo e a svelare e liberare forze mai neppure immaginate.»

 

Grazie ad una borsa di studio istituita nel 1851, l’anno dell’Expo londinese, Rutherford – nato il 30 agosto del 1871 in Nuova Zelanda – ottenne, nel 1895, di continuare i suoi studi in Inghilterra. Collaborando con Thomson, si occupò del passaggio di elettricità nei gas. Ovunque gli scienziati stavano trovando, o comunque cercando, gli esperimenti e le teorie matematiche giuste per descrivere e determinare un mondo fino a quel momento inaccessibile all’occhio umano e ai microscopi. Thomson aveva ideato un modello di atomo, il più accreditato durante il primo decennio del XX secolo, ma nuovi esperimenti sembrarono suggerire che l’atomo consistesse principalmente di spazio vuoto.

A Rutherford fu offerta una cattedra di fisica sperimentale a Montreal: qui il fisico avrebbe avuto una posizione di responsabilità e avrebbe potuto dedicare più tempo alla ricerca. Collaborando con Soddy, assistente nel dipartimento di chimica, riuscirono a provare l’ipotesi della disintegrazione atomica come spiegazione della radioattività, dicendo cose mai dette prima, ma l’isolamento coloniale di Montreal rendeva più difficile accettare la rivoluzione di Rutherford a molti. Ottenne il premio Nobel nel 1908, «per le sue ricerche relative alla disintegrazione degli elementi e alla chimica delle sostanze radioattive».

Il 24 maggio del 1907, ebbe finalmente l’occasione di tornare in Europa in via definitiva: a Machester, il laboratorio più importante in Inghilterra dopo il Cavendish, dove ebbe in eredità un team di laboratorio invidiabile.

Rutherford puntava a guardare all’interno dell’atomo, del quale si conoscevano solo gli elettroni, per la cui scoperta era stato insignito del Nobel Thomson nel 1906. All’inizio di dicembre del 1910, Rutherford aveva chiara in mente l’immagine dell’atomo e di quello che nel 1913 battezzò nucleo: intuì che, in proporzione, il nucleo nell’atomo era come una capocchia di spillo al centro della cattedrale di St. Paul. Rutherford espose i suoi risultati in un articolo il 7 marzo del 1911. Il modello fu accolto come uno dei tanti, ma non convinse: appariva instabile e solo Bohr, dopo qualche mese, mostrò come potesse essere stabile. Il modello di Rutherford-Bohr, frutto di esperimenti ispirati e teorie geniali, rappresentava allo stesso tempo una fine e un inizio: l’inizio della fine della fisica da bancone di Rutherford, quella fatta con ceralacca e cordini. La fisica classica, su cui si poteva letteralmente mettere le mani, stava lasciando il passo alle lavagne; i nuovi esperimenti, tesi a “entrare” nel nucleo, avrebbero richiesto macchine gigantesche in grado di accelerare e manipolare le forze e i corpi descritti e dominati per primi da Isaac Newton, Michael Faraday, J.J. Thomson e dallo stesso Rutherford.

La prima guerra mondiale toccò pesantemente i giovani impegnati nel laboratorio di Rutherford: chi morì in azione, chi rimase ferito, chi, come Chadwick venne internato in un campo di prigionia tedesco. Rutherford invece sviluppò ciò che ora chiamiamo sonar.

Nel marzo del 1919, Thomson abbandonò la direzione del Cavendish e Rutherford ottenne il suo posto.

Nel 1920, Rutherford chiamò protone la particella che usciva dal bombardamento dei nuclei di azoto con le particelle alfa.

Nel frattempo, si era aperta una grande competizione internazionale per frantumare l’atomo e farlo esplodere. Erano impegnati: il laboratorio del Cavendish, la Carnegie Institution di Washington, la University of California, l’Institute of Technology di Pasadena e il Kaiser Wilhelm Institute di Berlino.

Il 1932 fu l’anno dei trionfi per il team di Rutherford: Chadwick, scoprì il neutrone e Walton e Cockcroft videro per la prima volta l’atomo fatto a pezzi, con i nuclei di litio, di massa 7, colpiti da un protone, di massa 1, che si disintegravano in due particelle alfa (nuclei di elio), di massa 4. L’atomo di litio era stato spezzato. Nella violenza dell’evento una parte della massa – 0,02 unità di peso atomico – era stata trasformata in energia. Numericamente si trattava della quantità prevista dalla formula E = mc2. L’energia prodotta era uguale alla massa moltiplicata per la velocità della luce al quadrato. Era la prima prova sperimentale della teoria della relatività di Albert Einstein del 1905.

L’ascesa al potere di Hitler aveva indotto alla fuga millecinquecento scienziati tedeschi, epurati dalle università e dai laboratori: Rutherford spese parecchie energie per trovare un lavoro agli studiosi tedeschi, che lui aveva ribattezzato “gli studiosi erranti”.

Dopo le vittorie conseguite, Rutherford cominciò ad allontanarsi dal Cavendish, prendendosi lunghe pause per stare con i nipoti (avuti dall’unica figlia, morta nel 1930 dando alla luce il quarto figlio): era chiaro che il suo mondo stava cambiando.

Morì il 19 ottobre del 1937, dopo una breve agonia in seguito a una caduta. Le ceneri di Rutherford riposano nell’abbazia di Westminster, vicino alla tomba di sir Isaac Newton.

 

COMMENTO:

Leggendo il libro, si ha a volte l’impressione di sentir tuonare la voce di Rutherford, nei numerosi aneddoti che lo vedono come protagonista, che ci guidano alla scoperta del mondo subatomico. Grande uomo, grande personaggio, di un’intelligenza eccezionale e vivace, è stato anche un grande maestro, perché numerosi furono i suoi collaboratori che vinsero il premio Nobel: Frederick Soddy (chimica, 1921), Niels Bohr (fisica, 1922), Francis William Aston (chimica, 1922), Paul Dirac (fisica, 1933), James Chadwick (fisica, 1935), Georg von Hevesy (chimica, 1943), Otto Hahn (chimica, 1944), Edward Appleton (fisica, 1947), Patrick Blackett (fisica, 1948), John Cockcroft ed Ernest Walton (fisica, 1951), Pyotr Leonidovich Kapitsa (fisica, 1978).

Questo libro ci racconta la sua vicenda personale, le vicende di questi giovani studiosi e, soprattutto, il cammino della fisica nei primi anni del XX secolo, quando è passata da attività da bancone, con semplici esperimenti realizzabili in piccoli laboratori, agli esperimenti con gli acceleratori di particelle.

Il libro è semplice e coinvolgente e chiunque può affrontarne la lettura, pur non avendo conoscenze specifiche.

Venerdì, 02 Agosto 2013 15:46

Le ostinazioni di un matematico

TRAMA:

Questa è la storia di un matematico, Armand Duplessis, che aveva davanti a sé un brillante futuro, ma che ha scelto di impegnare la propria vita nel tentativo di dimostrare la congettura di Goldbach. I singoli capitoli sono quasi separati, visto che il protagonista muore ben tre volte e ce lo spiega l’autore nell’introduzione: La morte del protagonista in un capitolo non incide, né deve farlo in alcun modo, sul suo comportamento nel capitolo seguente. Lo si ritrova vispo come una funzione che, superato qualche valore non ammesso, risuscita in un batter d’occhio: affondata verso – ∞ un istante fa, ora si avvicina a + ∞, pronta a nuovi asintoti.

Nato il 16 aprile 1964, ovvero 16.4.64, che potrebbe anche essere letto come 16 x 4 = 64 o come 24.22.26, Armand Duplessis sente che le potenze di 2 hanno in qualche modo segnato la sua vita. A sedici (=24) anni, seguì la serie televisiva Gli enigmi che sfidano l’umanità, durante la quale venne presentata la congettura di Goldbach: ogni numero pari è la somma di due numeri primi. Quella stessa sera, a tavola, annunciò la sua decisione. Sarebbe diventato un matematico. Non un professore di matematica, intendiamoci: un matematico. Perché aveva intenzione di essere il primo a dimostrare la congettura di Goldbach.

Scegliendo di dedicarsi alla teoria dei numeri, venne assunto dall’università di Lione: agli inizi, Armand era uno di quei pochissimi ricercatori che si mostrano all’altezza delle grandi speranze riposte in loro. In moltissimi ambiti della teoria dei numeri i suoi risultati furono stupefacenti, le sue intuizioni decisive, le sue pubblicazioni numerose, le sue idee fondamentali. Ma a 32 (=25) anni, Armand decise di dichiarare che avrebbe proseguito le sue ricerche nel tentativo di dimostrare la congettura di Goldbach.

Dopo essersi dedicato instancabilmente, in ogni momento della giornata, alla congettura, un giorno Armand decise di dimenticarsene, di liberare la propria mente, nel tentativo di pensarci meglio. Esattamente come fece Poincaré che, dopo essersi concentrato molto tempo e inutilmente su un problema, decise di partire per una gita e, mettendo piede sull’omnibus di Coutances, riuscì a trovare la soluzione. Armand sperava di trovare nell’accensione del proprio computer ciò che Poincaré aveva trovato salendo sull’omnibus. Ma non successe nemmeno questo… ha luogo semplicemente la sua seconda morte, mentre si smaterializza osservando la propria immagine.

Dopo la sua morte, i colleghi si trovano a farne un “elogio funebre” un po’ particolare, visto che commentano anche cinicamente la scelta di Armand di dedicare tutta la propria vita a una congettura così difficile: «Avrebbe potuto fare della grande matematica. Forse avrebbe potuto farne, voglio dire. Forse. Non lo sapremo mai, adesso. Ma se c’è una cosa certa, è che si è ostinato stupidamente».

 

COMMENTO:

Non bisogna cominciare la lettura di questo libro aspettandosi un romanzo normale, con un inizio e una fine. È un romanzo dai molti inizi e dalle tante fini – come dimostrano le tre morti del protagonista – un romanzo fatto in realtà da tanti singoli racconti un po’ fantastici, che descrivono però molto bene la vita di un matematico.

Non mancano numerosi agganci con la realtà matematica: i colleghi di Armand hanno, ad esempio, nomi che imitano quelli dei celebri matematici e cioè Potagore (Pitagora), Pacaré (Poincaré), Barbacchi (Bourbaki), Couchy (Cauchy), Bèrel (Borél), Lebogue (Lebesgue). Simpatica inoltre è la descrizione della presunta scoperta, da parte della moglie di Armand, dell’amante del matematico, secondo una deduzione fatta dopo aver rilevato l’improbabile ricorrenza dei multipli di 99.

Il testo è scorrevole e divertente e, verso la fine, l’autore ci parla anche di Goldbach e della comparsa della famosa congettura durante uno scambio epistolare con Eulero, avvenuto il 7 giugno 1742, ovvero 7.6.42… come nel caso della data di nascita del protagonista: 7 x 6 = 42.

Venerdì, 02 Agosto 2013 15:45

Energia, forza e materia

TRAMA:

Nel diciottesimo secolo, la fisica, che riguardava solo i fenomeni meccanici, era analizzata solo dal punto di vista matematico. Più avanti, il calore e l’elettricità vennero spiegati con l’esistenza di fluidi imponderabili, ma si trattava di speculazioni qualitative, separate dalla scienza esatta ovvero dalla meccanica, nonostante i diversi tentativi di trattazioni matematiche. Oersted (1820) e Faraday (1831) riuscirono a collegare, con i loro esperimenti, le forze elettriche e quelle magnetiche; Joule stabilì l’equivalenza tra calore e lavoro meccanico e nel 1847 Helmholtz trattò i fenomeni di meccanica, calore, luce, elettricità e magnetismo come differenti manifestazioni dell’energia. Il modo in cui i problemi fisici della luce, del calore e dell’elettricità venivano trattati era tale da consentirne un’analisi matematica e ciò favorì molto l’unificazione della fisica. Ebbero particolare importanza gli esperimenti di Joule: mentre i fisici del diciottesimo secolo avevano considerato i processi meccanici e quelli non meccanici come processi relativi a differenti sistemi fisici, la dimostrazione dell’equivalenza tra lavoro meccanico e calore fatta da Joule negli anni Quaranta dell’Ottocento consentì, insieme alla legge della conservazione dell’energia, l’unificazione dei processi termici e meccanici. E così negli anni Cinquanta e Sessanta Thomson e W.J. Macquorn Rankine elaborarono un nuovo modello della teoria fisica in cui il concetto fondamentale era quello di energia, tentando di rendere più chiara la base matematica e fisica del principio di conservazione dell’energia.

Il concetto di campo emerse intorno al 1850, nella fisica britannica, quando Thomson e Maxwell formularono le teorie dell’elettricità e del magnetismo. La concezione meccanicistica della natura ricevette un ulteriore supporto negli anni Cinquanta e Sessanta con lo sviluppo della teoria cinetica dei gas elaborata da Clausius e Maxwell, nella quale il moto delle particelle era descritto come fenomeno meccanico. I dubbi sorti dopo questa spiegazione indussero Maxwell a introdurre il paradosso del «demone», per dimostrare che le interpretazioni molecolari dovevano basarsi su un’analisi statistica del moto di un immenso numero di molecole.

Con l’enunciazione dell’equivalenza tra massa ed energia e l’abbandono di spazio e tempo assoluti, la teoria della relatività di Einstein segna una «rivoluzione» nella storia della fisica: per quanto l’accento che si pone generalmente sulla discontinuità tra fisica classica e moderna sia appropriato quando serve a distinguere le assunzioni filosofiche della fisica sette-ottocentesca dalle dottrine relativistiche e indeterministiche della fisica del nostro secolo, e a distinguere una fisica prima e una fisica dopo lo sviluppo della meccanica quantistica negli anni Venti, questa frattura è esagerata e trascura, in un modo che risulta alla fine fuorviante, la continuità di idee che pur esiste tra il periodo classico e il periodo moderno.

 

COMMENTO:

Una storia della fisica approfondita ed interessante, che può essere affrontata con le conoscenze che si sono acquisite con la scuola superiore. Il linguaggio non rende la lettura sempre agevole, ma con un po’ di concentrazione ed attenzione si può capire ogni cosa.

Venerdì, 02 Agosto 2013 15:43

Le curve celebri

TRAMA:

A partire dalla matematica dell’antichità, essenzialmente greca, Cresci tratteggia la storia della matematica attraverso i secoli, seguendo il percorso con brevi descrizioni delle curve piane. Non ci sono trattazioni matematiche o dimostrazioni: ci siamo sforzati di legare ogni curva che viene presentata nel testo al suo ideatore e di quest’ultimo tratteggiare la personalità: le biografie dei matematici sono spesso ricche di episodi, di avvenimenti, di aneddoti curiosi, e la parte matematica delle curve non può prescindere dalle circostanze della loro creazione.

Grazie ai tentativi dei greci di ottenere le soluzioni dei tre grandi problemi dell’antichità – la quadratura del cerchio, la duplicazione del cubo e la trisezione dell’angolo – si ottennero altre curve: le lunule di Ippocrate, la trisettrice di Ippia, la quadratrice di Dinostrato.

Procedendo nella storia, incontriamo Archimede: al suo nome sono legate la spirale, una curva piana, tracciata da un punto che si sposta uniformemente lungo una semiretta, mentre questa a sua volta ruota uniformemente attorno al suo estremo e la circonferenza, visto che il genio dell’antichità raggiunse una buona approssimazione del p, inventando un procedimento iterativo.

Nel XVII secolo si celebra l’inizio della geometria analitica: René Descartes operò una vera rivoluzione, identificando una relazione algebrica, e cioè un insieme di simboli formali, con una curva, o meglio con un luogo geometrico, e cioè con l’insieme di tutti i punti che soddisfano ad una data proprietà geometrica. L’utilizzo delle coordinate non era una novità, perché già Apollonio aveva utilizzato un sistema analogo. Le coniche erano già comparse secoli prima: Menecmo le definì e utilizzò per primo, ricavando la parabola, l’ellisse e l’iperbole dall’intersezione di coni circolari retti (rispettivamente con angolo al vertice retto, acuto e ottuso) e piani perpendicolari alla generatrice del cono. Euclide scrisse quattro libri sulle sezioni coniche, probabilmente andati perduti perché superati dall’opera di Apollonio, Le coniche, trattato nel quale dà alle curve il nome con cui le conosciamo anche oggi ed effettua una generalizzazione, ottenendo le curve da uno stesso cono e variando l’inclinazione del piano di sezione. Le sue sono innovazioni coraggiose e profonde.

Altra curva degna di nota è la cicloide, “la bella Elena” della geometria, che non è altro che il percorso che fa nell’aria il punto di una ruota, quando essa rotola nel suo movimento normale, dal momento in cui il punto comincia a sollevarsi da terra, fino al momento in cui la rotazione continua della ruota l’abbia ricondotto a terra, dopo un giro completo. Se la curva fissa non è una retta ma una circonferenza, la cicloide diventa epicicloide se la circonferenza che rotola è all’esterno, ipocicloide se rotola all’interno. I moti epicicloidali furono usati da Tolomeo per descrivere il movimento di alcuni pianeti.

Tra le curve più famose citate nel libro: la concoide di Nicomede, la cissoide di Diocle, la lumaca di Pascal (padre), la lemniscata di Bernoulli, la spirale logaritmica, la catenaria, la cardioide, la nefroide, la strofoide, la clotoide – studiata inizialmente da Eulero –, la versiera di Gaetana Agnesi – nota in inglese come witch of Agnesi –, la funzione di Gauss, la funzione logistica di Verhulst – per lo studio della crescita demografica di una popolazione –, la curva di Peano, la polvere di Cantor, la curva a fiocco di neve, il setaccio apolloniano e i frattali di Mandelbrot.

Le appendici che concludono il testo riprendono tre argomenti oggetto di presentazione nel testo: la biblioteca di Alessandria, l’invenzione della Pascaline e la storia di Lady Lovelace e Charles Babbage, che precorsero i tempi concependo l’Analytical Engine – il predecessore dell’odierno pc – già nel XIX secolo.

 

COMMENTO:

Visto l’elevato numero di argomenti, curve, aneddoti, non si può che trattare di un “assaggio” di storia della matematica, da sottoporre a ulteriori approfondimenti. Semplice e scorrevole, la sua lettura è consigliata a tutti.

Venerdì, 02 Agosto 2013 15:42

La formula segreta

TRAMA:

Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio del 1512, durante il sacco di Brescia ad opera dei soldati francesi, Niccolò Tartaglia cercò riparo dentro il Duomo, ma i francesi assalirono i rifugiati e uno di essi gli inferse cinque ferite in volto. Niccolò guarì nel giro di qualche mese, grazie alle cure della madre, ma le ferite alla bocca gli causarono la balbuzie: i coetanei lo prendevano in giro per questo suo difetto chiamandolo “tartaglia” ed egli adottò questo nomignolo come cognome.

Nato a Brescia presumibilmente nel 1499 da una famiglia molto povera, Niccolò Tartaglia lavorò autonomamente alla propria formazione scientifica, studiando le opere di Euclide, Archimede e Apollonio. Tra il 1516 e il 1518 si trasferì a Verona, dove rimase fino al 1534; qui acquisì notorietà e rispetto, con il ruolo di maestro d’abaco. La fama raggiunta da Tartaglia è testimoniata dai quesiti da lui posti a numerosi interlocutori. A quei tempierano di gran voga in Italia le disfide tra matematici, di rango universitario e non: veri e propri duelli scientifici il cui svolgimento ricalcava i canoni dei tornei cavallereschi. Uno studioso inviava a un secondo alcuni problemi, che rappresentavano il guanto di sfida di queste particolari tenzoni, e lo sfidato doveva cercare di risolverli entro un termine prestabilito, proponendo a sua volta all’avversario ulteriori quesiti. La consuetudine voleva poi che ogni duello dall’esito contrastato culminasse in un pubblico dibattito, nel corso del quale i contendenti erano tenuti a discutere dei problemi scambiati e delle relative soluzioni alla presenza di giudici, notai, governanti e di una platea di spettatori sovente assai folta. Non era infrequente, inoltre, che tali disfide si facessero parecchio incandescenti, sconfinando dal piano scientifico a quello dell’invettiva personale. D’altra parte, la posta in palio poteva essere molto alta: il vincitore di una pubblica disfida matematica, ossia colui che aveva risolto il maggior numero di problemi, non guadagnava solo gloria e prestigio, bensì più concretamente anche un eventuale premio in denaro, nuovi discepoli paganti, l’acquisizione o la conferma di una cattedra, aumenti di stipendio e spesso incarichi professionali ben remunerati. La carriera dello sconfitto, invece, rischiava di rimanere seriamente compromessa.

Il secondo protagonista di questa storia è Gerolamo Cardano: nato a Pavia il 24 settembre 1501, si laureò in medicina nel 1526, ma solo nell’estate del 1539 fu accolto dal Collegio dei medici di Milano, che aveva osteggiato la sua elezione a causa dei suoi illegittimi natali. Divenne in seguito il medico più famoso e richiesto della città. Informato da un matematico che Tartaglia aveva trovato la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, si mise in contatto con lui all’inizio del 1539 per avere la formula, ma Tartaglia rispose negativamente alla richiesta: “quando vorrò pubblicar tal mia inventione la vorrò publicar in opere mie et non in opere de altri”. Dopo una corrispondenza dai toni abbastanza vivaci, Tartaglia si recò a Milano da Cardano in primavera: ebbero a disposizione diverso tempo per discorrere tra loro e confrontarsi su vari temi, uno dei quali non poteva che essere la questione delle equazioni cubiche e delle loro regole risolutive. Cardano giurò a Tartaglia che non avrebbe mai svelato la formula risolutiva e questi si lasciò convincere a rivelarla. I due smisero di scriversi nel gennaio del 1540 e non sono documentati ulteriori contatti personali o epistolari.

Mentre Tartaglia rivelava la formula, Cardano era in compagnia di un giovanissimo allievo, Ludovico Ferrari. Nato a Bologna il 2 febbraio 1522, Ferrari discendeva da una famiglia milanese: rimasto presto orfano, fu mandato a Milano come servitore nell’abitazione di Cardano, il quale, accortosi della sua predisposizione agli studi, si prese cura della sua istruzione. Nel 1542 si recarono a Bologna per far visita a un matematico: questi mostrò loro un vecchio taccuino appartenuto al suocero, Scipione Dal Ferro, nel quale i due trovarono la formula risolutiva delle equazioni cubiche. Dopo aver appreso la formula, Cardano e Ferrari si persuasero della necessità di diffondere in tutto il mondo scientifico le nuove conoscenze acquisite e Cardano, in particolare, si sentì svincolato dal giuramento fatto a Tartaglia. Nel 1545, Cardano pubblicò il volume Artis magnae, sive de regulis algebraicis più noto come Ars Magna, un testo destinato a imprimere una svolta profonda nella storia dell’algebra, determinando l’avvio di una nuova era per le ricerche matematiche. Nel suo trattato, Cardano attribuì agli autori delle formule risolutive i dovuti meriti e riconobbe i contributi di Ferrari, con il quale aveva collaborato. La formula risolutiva delle equazioni cubiche è spesso denominata «formula cardanica» poiché, pur non essendone stato lo scopritore, fu Cardano a farla conoscere al mondo scientifico, e per di più completa di dimostrazione.

Nel 1546, Tartaglia pubblicò Quesiti et inventioni diverse, nel quale si scagliò contro Cardano, che non aveva tenuto fede al giuramento di silenzio. Cardano non replicò all’attacco, ma lo fece Ferrari: il 10 febbraio 1547, inviò a Tartaglia un pubblico «cartello di matematica disfida», proponendogli di misurarsi con lui in un pubblico “duello”. I due continuarono a scambiarsi cartelli dal giugno all’ottobre del 1547 e si scontrarono il 10 agosto 1548 a Milano. Tartaglia abbandonò la disputa dopo il primo giorno, perché la riteneva invalidata dal comportamento del pubblico presente, apertamente schierato a favore dell’avversario, ma dichiarò di esserne il vincitore, contestando alcune delle risposte di Ferrari. Non possiamo sapere come siano andate davvero le cose, ma la maggior parte delle fonti riconosce in Ferrari il vincitore dello scontro.

Tartaglia morì a Venezia il 13 dicembre 1557, in solitudine e povertà. Ferrari morì a soli quarantatre anni, probabilmente avvelenato dalla sorella. Cardano morì il 20 settembre 1576, dopo aver visto giustiziare uno dei suoi figli per uxoricidio ed essere stato condannato dall’Inquisizione.

 

COMMENTO:

Quanto è raccontato in questo libro costituisceun complesso di vicende tanto sorprendenti e appassionanti da richiamare, crediamo, la curiosità anche dei non addetti ai lavori: vicende ricche di situazioni dal sapore romanzesco – intrighi, segreti, arroventate dispute erudite – e animate da personaggi affascinanti, geniali e bizzarri, capaci di eccellere nella loro epoca sia per virtù di intelletto che per umane debolezze. Con queste parole nell’introduzione, l’autore ci fornisce un ottimo motivo per leggere questo libro. Per molte persone, è difficile immaginare che tante passioni possano animare la scoperta di una formula matematica: per questo tutti coloro che considerano la matematica arida e priva di passionalità dovrebbero leggere questa storia.

 

Le ultime righe del libro:

Nella prima metà del Cinquecento, di fatto, Scipione Dal Ferro, Niccolò Tartaglia, Gerolamo Cardano e Ludovico Ferrari furono i quattro scintillanti moschettieri che illuminarono il cielo dell’algebra con le loro straordinarie e feconde scoperte. Scoperte originate non solo da genio creativo e abilità tecnica, ma altresì da passione, dedizione, perseveranza, competizione, gelosia, ambizione, stima, risentimento, impeto, sofferenza. Insomma, da tutto il carico di umanità che si può nascondere anche dietro una formula matematica.

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