Ada and friends

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Ada and friends

Il secondo martedì del mese in questo ottobre cade il 14, giorno dedicato al Carnevale matematico per nove mesi all’anno. Per questo motivo, Maurizio Codogno, che ospita il carnevale di ottobre, ha deciso di scegliere come tema “Ada and Friends”. Be’, non ho specificato che il secondo martedì di ottobre è la data scelta per l’Ada Lovelace Day, una ricorrenza annuale istituita nel 2009 che ha «l’intento di celebrare e sostenere i successi delle donne professioniste delle discipline scientifico-tecnologiche».

Approfitto del tema per riprendere in mano una lezione che ho fatto l’anno scorso nelle mie classi, proprio in questo periodo, ma che partiva da Hedy Lamar: infatti, l’occasione era stata quella di un incontro con l’autore, nello specifico Alessandro Barbaglia, autore del libro L’invenzione di Eva, una biografia che è anche un romanzo.

«Vede, se fosse un maschio non avrei alcun dubbio, viste le sue capacità. Ma è una ragazza. E le ragazze si sa come sono: cominciano con entusiasmo, ma appena trovano un fidanzato pensano subito a sposarsi e fare figli. Forse è meglio se fa l’istituto tecnico per geometri: il percorso è meno lungo e alla fine, almeno, si ritrova con un diploma!» Queste sono le parole che il mio docente di matematica delle medie ha rivolto a mio papà, quando questi ha chiesto un colloquio per avere un’indicazione sulla mia scelta per la scuola superiore (il racconto è presente nella rassegna di interviste Le ragazze con il pallino della matematica, una raccolta realizzata da Chiara Burberi e Luisa Pronzato). La frase va in qualche modo contestualizzata: mio papà lavorava come operaio, mia mamma era casalinga e non c’erano grandi possibilità economiche in famiglia, da qui il motivo per cui un percorso di studi che prevedesse l’università spaventava un po’. Forse l’insegnante di matematica, avendo colto il contesto familiare, ha scelto di offrire una facile via d’uscita ai miei genitori, ma resta il fatto che il riferimento al genere ha condizionato pesantemente i miei anni alle scuole superiori, perché i miei genitori drizzavano le antenne ogni volta che nominavo un paio di volte un ragazzo.

Per parlare con i miei studenti del coinvolgimento delle donne nelle discipline STEM, ho scelto di usare le immagini del libro Women in Science, di Rachel Ignotofsky: ad ogni scienziata sono dedicate due pagine, una con un’illustrazione che racconta la biografia attraverso i fatti più significativi e l’altra con una piccola presentazione. I miei riferimenti in classe sono stati numerosi: ho cominciato con Sophie Germain, prendendo ispirazione dal bellissimo libro illustrato (ma purtroppo in inglese) Nothing stopped Sophie di Cheryl Bardoe, che ho usato come base anche per realizzare il video per #peopleformath2024, il contest ideato da IlariaF Math. Durante la realizzazione di questo video, ho approfondito molto la figura della matematica con il libro di Cecilia Rossi, Sophie Germain, un librettino prezioso, curato nei minimi dettagli. Mi sono confrontata molto con Cecilia soprattutto su come gli uomini percepiscono le donne: tra i libri che parlano di Sophie, infatti, c’è anche il copione Il signor Le Blanc di Maria Rosa Menzio. Il testo dello spettacolo è preceduto dalla trascrizione di un intervento del professor Franco Pastrone, del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, per una conferenza dell’Associazione Subalpina Mathesis. Nel suo intervento, Franco Pastrone formula giudizi abbastanza pesanti nei confronti di Sophie Germain, parlando di «episodi rimasti famosi, forse un po’ forzati al fine di esaltare la determinazione della ragazza», e, pur riconoscendo che all’epoca una donna con un interesse intellettuale era vista come una «curiosità da salotto […] ma non su un piano di parità», la descrive come una persona dal «carattere non facile, spigoloso, con un fondo di presunzione che concorse a guastarle i rapporti con illustri matematici». Le stesse sottolineature vengono fatte da Piergiorgio Odifreddi ne Il genio delle donne: Sophie Germain è accusata di essere troppo sicura di sé, una presuntuosa che si sente offesa dall’offerta di leggere un libretto “per le dame”. La realtà è che certi comportamenti sono considerati, secondo gli stereotipi, tipici degli uomini, e per questo non sono ritenuti adeguati alle donne. La stessa narrazione è stata data da Rosalind Franklin, come riporta La ragazza del microscopio di Marie Benedict: durante la scorsa partecipazione al Festival di BergamoScienza, parlando della prospettiva – e quindi della celebre fotografia 51 – abbiamo avuto occasione di approfondire e raccontare il suo scontro con Watson e Crick, ai quali è poi stato assegnato il Premio Nobel per la medicina nel 1962, senza che venisse nemmeno menzionato il suo contributo.

Nicolas Witkowski ha scritto Troppo belle per il Nobel proprio ispirandosi a queste vicende, anche se Rosalind Franklin e Lise Meitner vengono citate solo come esempi nella premessa introduttiva. Nel percorso, l’autore si avventura lontano dai soliti sentieri battuti, accompagnando il lettore con un umorismo sottile che consente di godersi la carrellata con una certa leggerezza. Di Ada Lovelace, ricorda che le venne «negato l’accesso alla biblioteca della Royal Society in quanto donna».

Persino Marie Curie, nonostante i suoi grandi contributi alla scienza, ha dovuto pagare il fatto di essere donna, come dimostra la vicenda raccontata abbondantemente nel romanzo Io sono Marie Curie di Sara Rattaro: a quale uomo avrebbero richiesto di rinunciare al secondo premio Nobel per un comportamento poco adeguato? In questo romanzo, vengono toccati temi molto attuali con grande delicatezza: il ruolo della donna nella relazione con il marito, visto che a Marie viene assegnato un ruolo da comprimaria a prescindere – come se le ricerche che hanno portato al primo Nobel fossero state merito solo di Pierre – e l’attacco mediatico all’indomani della scoperta della relazione con Paul Langevin.

Nel libro La scienza delle donne, Maria Rosa Panté evidenzia come, nel caso delle donne, anche l’aspetto fisico abbia importanza. Definisce, infatti, Emmy Noether e Hedy Lamarr «due facce della stessa medaglia»: «di una si pensava che fosse troppo matematica per essere una vera donna e infatti era considerata un uomo, [...] l’altra, invece, era troppo bella, troppo femmina per pensare che fosse anche intelligente». 

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