«Non avere paura di sognare» è stato pubblicato nel 2016 dalla Casa Editrice La nave di Teseo. L’autore, Alberto Mantovani, medico immunologo, dal 2005 è direttore scientifico e presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca. Nel corso della sua carriera, è stato insignito di numerosi premi, tra i quali nel 2018 l’Ambrogino d’oro, ovvero la medaglia d’oro di civica benemerenza del Comune di Milano.
Il sottotitolo, «Decalogo per aspiranti scienziati», ci dice subito chi siano i destinatari di questo libretto, ovvero i ragazzi: l’idea del libro nasce da un articolo del 2015 pubblicato sul “Corriere della Sera”, «una lettera idealmente indirizzata ai giovani che pensano a un futuro nella ricerca, nel settore delle scienze della vita: con loro ho voluto condividere alcuni suggerimenti tratti dall’esperienza vissuta e maturata sino a oggi, con l’augurio che potessero diventare utili spunti di riflessione». Strutturato in dieci capitoli, con ogni titolo come la legge di un ipotetico decalogo, il libro è ricco di episodi e ricordi tratti dal vissuto dell’autore. Il senso del libro è «incoraggiare a nuotare controcorrente seguendo la propria passione per la conoscenza», trasmettendo «il senso dell’avventura tipico della scienza, l’entusiasmo e la passione che la caratterizzano», offrendo «una rappresentazione della concretezza della vita scientifica».
Il decalogo comincia con l’invito a seguire le proprie passioni, perché «lavorare tanto non pesa e non ti peserà, se la tua professione continua a essere parte delle tue passioni»: i medici non sono degli impiegati, con dei turni dagli orari rigidi, ma degli appassionati che continuano a formarsi anche al di fuori del proprio orario di lavoro. Il lavoro del medico ha una dimensione internazionale e, grazie ad essa, bisogna contribuire a costruire ponti di pace, visto che «nella scienza, i confini nazionali non esistono»: la diversità è un’aggiunta di ricchezza ed è un ampliamento degli orizzonti scientifici e mentali. Dalla collaborazione con persone più preparate non può che nascere l’umiltà, l’atteggiamento che più apre la mente all’apprendimento e alla conoscenza. Bisogna inoltre continuare a «sfidare se stessi, essere sempre aperti al confronto e rispondere agli stimoli degli altri», senza avere paura di mettersi alla prova con cose nuove, senza perdere occasione di imparare da chiunque, anche dai pazienti: «sono i pazienti l’inizio, il fine e il centro di tutto. Come ammalati, certamente, ma innanzitutto come persone». La collaborazione è una delle chiavi di volta della ricerca scientifica: pur non mancando una componente di competizione, inevitabile, «dalla condivisione delle idee guadagnano tutti, e in particolare la salute dei pazienti». Il settimo capitolo è intitolato: «Impara dai tecnici: la chiave a stella», perché l’umiltà e la consapevolezza di poter imparare da chiunque portano a questo. Nel titolo, l’autore cita “La chiave a stella”, il romanzo di Primo Levi, dedicato alla tradizione del “saper fare”, ovvero a quella portata avanti dai tecnici. In ogni cammino, non mancano gli errori, ma la soluzione sta nell’accettare il giudizio degli altri, oltre che nel farsi guidare dal proprio spirito critico: la storia della scienza in generale «è caratterizzata dall’incrocio di studi diversi e costellata di alti e bassi, con idee sbagliate che sono state ritenute giuste, e idee inizialmente considerate errate ma poi rivelatesi corrette». Come insegna il metodo scientifico, le teorie e le ipotesi vanno sempre verificate, con gli esperimenti che possono rivelare una scoperta geniale o un errore: bisogna rispettare i dati, non avere preconcetti e non lasciarsi guidare dal principio di autorità, «anche davanti ai più grandi […] esercita continuamente il tuo spirito critico». «Nella scienza, prima o poi, la verità dei dati emerge sempre» ed è per questo che possiamo definire la scienza “intellettualmente democratica”. L’ultimo capitolo è di capitale importanza: la condivisione dei propri risultati è fondamentale, anche gli insuccessi, che possono portare a inaspettati e straordinari progressi.
La narrazione si conclude con il consiglio di dieci letture, particolarmente significative per l’autore, di carattere scientifico e non solo.
La narrazione è colloquiale, rivolgendosi a ragazzi, ma la lettura è consigliata a qualsiasi fascia d’età e le idee dell’autore non possono che essere condivisibili da chiunque. Consiglierei questo libro ai ragazzi dell’ultimo anno delle medie, ma anche a coloro che, alle superiori, stanno valutando di intraprendere una carriera in campo medico. La lettura è inoltre un’iniezione di entusiasmo per tutti i lavoratori dell’ambito scientifico. Quello che, secondo l’autore, è un limite di prospettiva, ovvero il fatto che lui sia un medico e un immunologo è in realtà un arricchimento: alcune delle cose riportate in questo libro sono valide per il mondo scientifico in generale e il riferimento ai pazienti permette di mantenere l’attenzione sulle finalità della ricerca, senza farle perdere il suo valore umano.
Ci sono libri che trovano il proprio spazio al momento giusto e riescono quindi a dare risposte e sistematicità a un percorso già in atto. È il caso di «Complessità. Un’introduzione semplice» di Ignazio Licata, pubblicato nel 2018 dalla Di Renzo Editore, casa editrice specializzata nella divulgazione scientifica. Nelle ultime settimane, la scienza ha rincorso le risposte a questa pandemia, mentre la matematica ha rappresentato i dati in diagrammi sempre più completi nel tentativo di una previsione non sempre possibile. E sono proprio questi gli aspetti indagati in questo libretto, nato dopo una serie di incontri con il pubblico, pubblicato già nel 2011 con la casa editrice :due punti. Per quanto Licata sia un fisico, non si parla solo di fisica, ma di tutti quei fenomeni complessi che hanno a che fare con la spiegazione del mondo in cui viviamo. L’idea di fondo è che il riduzionismo abbia portato con sé la convinzione che ogni fenomeno sia descrivibile attraverso un sistema di equazioni e prevedibile nel suo sviluppo futuro: la realtà, più complessa di quanto le equazioni sappiano dire, non è così facile alla previsione e non può avere, quindi, risposte semplici.
Il libro è un inno alla scienza, attraverso la descrizione del suo modo di agire e l’elenco dei suoi limiti, perché, come ci ricorda il teorema di Gödel, non è possibile ottenere una descrizione della realtà che sia, al tempo stesso, coerente con se stessa e completa, mentre il principio di indeterminazione di Heisenberg trova una nuova forma nel dirci che, di ogni argomento, se scegliamo la profondità rinunceremo alla visione generale e se preferiamo quest’ultima ci ritroveremo con una descrizione generale ma superficiale della realtà.
La lettura è consigliata agli insegnanti, responsabili di trasmettere un’idea di scienza che sia il più realistica e corretta possibile, ma anche agli alunni che, arrivati alla fine del proprio percorso superiore, sentano l’esigenza di capire meglio quali siano le risposte che è lecito chiedere alla scienza. La lettura è consigliata a tutti coloro che credono che sia possibile ottenere risposte semplici per problemi complessi: la descrizione della realtà è più difficile di quanto si immagini, come la realizzazione della mappa di una regione può facilmente dimostrare.
“Dialoghi con un matematico strano” è il titolo di questo libro pubblicato da Matematicamente.it con licenza Creative Commons, il che significa che si può distribuire e modificare l’opera ma non ne è permesso un uso commerciale. L’autore, Mauro Cerasoli, è stato Professore Associato di Calcolo delle Probabilità presso l’Università degli Studi dell’Aquila, ma anche fondatore di Mat^Nat, il Parco della Matematica di Fontecchio. Autore insieme alla sorella Anna di vari manuali di matematica per la scuola secondaria superiore, editi da Zanichelli, già dal 1985, ha scritto anche “Introduzione alla Probabilità”, edito nel 1984 dall’Unione Matematica Italiana, insieme a Gian Carlo Rota e Kenneth Baclawski. Nel 2017 gli è stato conferito il premio Zimei a Montesilvano, un riconoscimento «agli abruzzesi che, attraverso la loro azione, hanno onorato la propria terra».
Questo libro è una raccolta di ventitré dialoghi che attraversano tutta la matematica ed è nato per «chiarire alcuni dei temi presentati velocemente durante la passeggiata nel Parco» Mat^Nat. Costellato di piacevoli cenni autobiografici e di giochi matematici ideati dall’autore, è ricco di riferimenti anche ad altre scienze, tanto che il suo misterioso interlocutore dice che non sa se definire Cerasoli uno zoologo, un botanico o, addirittura, un filologo, visto che grazie alla sua formazione classica fa spesso riferimento al significato dei termini matematici. Cerasoli si rivolge spesso in modo critico alla didattica della matematica: ritiene che la crisi delle facoltà scientifiche sia dovuta all’eccessivo calcolo con il quale si caricano gli studenti delle scuole superiori e invita gli insegnanti a presentare i teoremi come un mistero, così «forse gli studenti chiederebbero loro stessi la prova, invece di odiare le dimostrazioni che vengono spesso imposte dal docente».
Due sono le passioni che guidano la narrazione: la probabilità, alla quale vengono dedicati parecchi dialoghi e Gian Carlo Rota, con il quale Cerasoli ha collaborato e al quale era legato da una solida amicizia, tanto da dedicargli l’ultimo dialogo.
Daniel F. Styer è un fisico teorico, professore di fisica presso l’Oberlin College. Autore di libri riguardanti la meccanica quantistica, nel 2011 ha pubblicato «Relativity for the questioning mind», tradotto in italiano con «Capire davvero la relatività» e pubblicato da Zanichelli nella collana “Chiavi di lettura”. Il titolo originale, traducibile come «La relatività per chi si pone domande», ci dice che Styer vuole dal lettore una partecipazione attiva, perché possa costruirsi una sua conoscenza personale della relatività. Segue l’esempio di Einstein che affermava: «una sciocca fede nell’autorità è il peggior nemico della verità».
Non è un libro tecnico, visto che non usa nemmeno una matematica complessa, si accontenta dell’algebra e del teorema di Pitagora, ma nemmeno descrittivo, visto che è estremamente analitico, non esattamente divulgativo. Non è un racconto: richiede lo svolgimento di esercizi: non è semplicemente un libro da leggere, ma un libro da scrivere. «Com’è noto, non si può imparare a nuotare guardando gli altri: occorre buttarsi in acqua e provare di persona. Vale altrettanto per la scienza: è impossibile impararla facendosela “versare nella mente” come in una bottiglia vuota. Bisogna mettere in discussione gli esperimenti, criticare le deduzioni e verificare le conclusioni. Spero che lo farete in tutto il corso del libro; e in particolare vorrei che dedicaste un po’ di tempo ai problemi presentati alla fine dei capitoli».
I primi sedici capitoli sono dedicati alla relatività ristretta, mentre gli ultimi tre riguardano la relatività generale. Ogni capitolo sulla relatività ristretta è costituito da tre parti: la prima è una spiegazione densa di esempi, la seconda è una selezione di domande, scelte tra quelle che gli studenti hanno posto all’autore al termine di ogni sua lezione sulla relatività e l’ultima parte sono problemi posti al lettore, per i quali sono offerti, al termine del libro, alcuni suggerimenti per lo svolgimento.
Durante la trattazione, Styer aiuta ad armonizzare i tre effetti della relatività, ovvero la dilatazione del tempo, la contrazione delle lunghezze e la relatività della sincronizzazione. Non ci sono incoerenze logiche, ma schemi, calcoli ed esempi illuminanti, mentre la simultaneità diventa la «chiave di volta senza cui l’intera struttura crollerebbe rovinosamente». Se considerassimo solo contrazione e dilatazione, alla fine cadrebbero in contraddizione, ma non è certo facile accettare la relatività della simultaneità. Per quanto possa sembrarci strano, Styer ci ricorda che la relatività «si avvicina alla realtà più dell’approssimazione classica basata sul senso comune» e gli esempi al riguardo non mancano. Affronta gli argomenti qualitativamente, numericamente o simbolicamente, a seconda dei casi, scegliendo quello che, di volta in volta, è l’approccio più efficace.
L’ultimo capitolo è dedicato a una serie di approfondimenti, proposti dall’autore attraverso altre letture ed è seguito da una postfazione, legata al caso dei neutrini che, apparentemente, hanno superato la velocità della luce durante un esperimento: offre l’occasione per un’interessante riflessione su come funziona la scienza.
Utilizzare il libro per far lezione sulla relatività aiuta a spiegare meglio alcuni concetti: la scelta dell’autore di un’unità di misura di tempo particolare e i disegni utilizzati per ogni sistema di riferimento, aiutano gli alunni a cogliere le sfumature della teoria della relatività e le contraddizioni con la realtà se da un lato scuotono le nostre convinzioni, dall’altro aiutano a comprendere ancora meglio la novità di questa teoria. La lettura è consigliata a tutti coloro che abbiano veramente la volontà di comprendere e, quindi, di impegnarsi a risolvere i problemi proposti, unico modo per partecipare attivamente a quest’avventura proposta da Styer.
«È tutto calcolato» è il primo libro scritto da Lorenzo Baglioni, più noto probabilmente per la sua performance a S. Remo con un brano sul congiuntivo che non per le sue abilità matematiche. In realtà, Lorenzo ha anche una laurea in matematica tanto che per qualche tempo ha lavorato come insegnante e questo libro pubblicato da Mondadori gli dà modo di mostrare fino in fondo tutte le sue abilità. Obiettivo del libro non è quello di insegnare la matematica, «bensì dimostrare il potere della matematica nel descrivere, spiegare e prevedere situazioni quotidiane che a prima vista sembrano così distanti dalla razionalità del pensiero scientifico».
È una raccolta di dieci piccoli articoli di matematica, con i quali Baglioni esplora il funzionamento del web, delle relazioni sociali, dei social network e di YouTube, attraverso alcuni teoremi, almeno uno per capitolo, ed è sorprendente il fatto che compaiano anche parecchie formule, soprattutto ricordando la massima di Stephen Hawking, che sosteneva che ogni formula dimezzava il numero dei potenziali lettori. Eppure per quanto gli editori invitino a limitare al massimo il numero di formule, come sostiene lo stesso Odifreddi «la cosa è tanto insensata quanto pretendere di parlare di musica senza far ascoltare nemmeno una nota, o di arte senza mostrare nemmeno un’immagine». Baglioni e la Mondadori non commettono questo errore, ma il libro non è certo solo una raccolta di formule: non mancano gli esempi per capire meglio la teoria e sebbene ogni enunciato sia accompagnato dalla dimostrazione, perché «un teorema senza dimostrazione è come una doccia senza acqua: inutile», non mancano le risate. Nel leggere il libro sembra di sentire la voce narrante dell’autore che, con il suo bellissimo accento fiorentino, ci guida con fare esperto nel mondo della matematica.
Nel penultimo capitolo, il testo contiene anche un’introduzione alle funzioni che non sfigurerebbe in una classe quando si affronta lo studio di funzione, ma, al tempo stesso, è svagato. Lo stile del libro è in effetti improntato alla leggerezza, pur trattando argomenti di attualità e non sempre semplici. L’autore si rivolge ai ragazzi che appartengono al suo pubblico, ma al tempo stesso anche a tutti coloro che non amano in modo particolare la matematica: è un libro di divulgazione, che non banalizza i contenuti matematici, come dimostra l’ultimo capitolo, dedicato al paradosso di Monty Hall. Gli insegnanti possono trovare alcuni spunti per introdurre gli argomenti in modo originale: Baglioni, nell’introduzione, dice che la matematica serve per ingannare il lettore e per raccontare delle storie, mentre nel costruire i modelli matematici l’autore ci insegna ad usare la matematica nella quotidianità.
Il libro è consigliatissimo a tutti, soprattutto per l’originalità e la leggerezza con cui vengono trattati gli argomenti e per il senso dell’umorismo di Baglioni. La sua specialità è proprio nell’usare argomenti quotidiani per mostrarci l’universalità e l’utilità della matematica.
«Astrobufale» è il titolo dell’ultimo libro di Luca Perri: dopo l’esordio con «La pazza scienza», dedicato ai Premi IgNobel e il libro per i più giovani «Errori galattici», ecco un libro dedicato all’astrofisica – la specializzazione dell’autore – e alle bufale, o meglio, ai meccanismi che ci spingono a credere a ciò che non è vero. Pubblicato da Rizzoli nel settembre del 2018, comincia con una prefazione di Paolo Attivissimo, noto al grande pubblico per la sua opera di debunking delle più diffuse teorie complottiste, il quale definisce questo testo «un ricco pasto per la mente, colmo di sorprese», che ci permette di costruirci, a furia di esempi, «una sorta di fiuto generale per le bufale scientifiche».
La diffusione di disinformazione attraverso i media è uno dei maggiori rischi per il futuro a livello globale e le fake news non risparmiano davvero nessuno: siamo tutti possibili vittime di un’informazione errata, per questo è importante capire i meccanismi che stanno alla base della loro diffusione e i processi mentali che ci portano ad esserne vittime. Nel testo troviamo otto coppie di frasi riguardanti lo spazio, che sono apparse in qualche modo su un mezzo di comunicazione di massa: in ogni coppia, ci sono una frase scientificamente vera e una bufala. Lo scopo del gioco è quello di smontare un po’ di bufale, riconoscere i bias cognitivi per riuscire a correggere la nostra percezione e raccontare un po’ di Universo. Citando la poetessa statunitense Muriel Rukeyser, per la quale «l’Universo è fatto di storie, non di atomi», Perri ci guida tra le storie della ricerca spaziale, ricordandoci che, «nell’inventarle, l’Universo ha molta più fantasia dell’essere umano».
I quesiti sono stati proposti durante uno dei laboratori del Festival BergamoScienza e Luca Perri ha continuato a proporli durante le sue conferenze per un paio d’anni: la sua indagine statistica ha rilevato una risposta corretta solo per il 25% delle domande. Basta questo dato per cogliere la necessità di questo libro: c’è bisogno di storie e, in particolare, di storie di scienza. C’è bisogno di leggere la ricerca scientifica con occhi diversi, di conoscerne le storie fallimentari e quelle di successo e di capire finalmente che, nel mondo della scienza, «la certezza e la Verità con la V maiuscola non sono di casa».
L’utilizzo del bias dell’umorismo è, a mio modo di vedere, il punto forte di Perri, tant’è che sulla copertina hanno scritto: «Siete pronti a divertirvi sul serio con la scienza?». Il divertimento è una delle parole chiave, quando si leggono i libri di Perri ed è per questo motivo che è altamente sconsigliato leggerli se siete seduti in attesa nell’ambulatorio di un medico, come ho fatto io. Soprattutto se vi ritrovate a leggere il capitolo riguardante le evacuazioni degli astronauti: la mia espressione oscillava tra lo schifato e il divertito, ma sicuramente ho concluso che, visti i problemi di salute che si devono affrontare per realizzare l’impresa, non farò mai l’astronauta!
In questo caso, oltre ad augurarvi buona lettura e buon divertimento, vi auguro, rubando le parole a Luca: «Buon test!». È bello mettersi alla prova, soprattutto quando nessuno è lì a ridere del vostro fallimento…
Dopo aver vinto il FameLab 2015, il talent show dei comunicatori della scienza, Luca Perri ha ottenuto la notorietà nel febbraio del 2016 grazie a un post su Facebook, diventato virale nel giro di poche ore, con il quale ha spiegato la scoperta delle onde gravitazionali e, allo stesso tempo, difeso con forza l’utilità e la necessità della ricerca scientifica. Oggi, con il libro «Errori galattici», pubblicato a settembre 2018 da DeAgostini, parla ai ragazzi delle medie, con l’aiuto delle illustrazioni di Tuono Pettinato. Dopo il successo de «La pazza scienza» con l’elenco dei premi IgNobel più curiosi, Luca Perri, con il tono scanzonato che lo contraddistingue, ci racconta gli errori della scienza. L’obiettivo dell’autore è di aiutare a comprendere meglio la scienza, parlando dei suoi errori, per apprezzare «l’importanza e la bellezza del metodo scientifico», «affrontare la questione della fallibilità, inoltre, porta a capire più profondamente il lavoro svolto dai ricercatori. E, infine, a scoprire che anche dagli errori peggiori, spesso, possono derivare scoperte incredibili e fondamentali». Insomma, come per i premi IgNobel, Perri sceglie un approccio completamente diverso dal solito, questa volta per far amare la scienza anche ai più giovani.
I cinque capitoli sono dedicati a Schiaparelli, alla poliacqua, all’esperimento fallimentare di Michelson e Morley, alla costante cosmologica di Einstein e a Marconi. Ogni capitolo si conclude con “la versione di Tuono”, una paginetta dedicata ai fumetti di Tuono Pettinato, che in qualche modo riassume il percorso svolto nel capitolo.
Il penultimo capitolo è una ripresa del post che ha reso l’autore famoso su Facebook, nato dalla domanda su quale potesse essere l’utilità delle scoperte scientifiche: c’è un elenco di oggetti che non avremmo a disposizione senza la ricerca in fisica e astrofisica, dall’abbigliamento a Internet, dalla diagnosi medica fino ad una serie di oggetti che utilizziamo quotidianamente. Altri errori trovano spazio nel capitolo conclusivo, sottolineando che «ogni scoperta è importante perché aggiunge conoscenza. Pensate che quando si fa ricerca, paradossalmente, è fondamentale trovare anche dei dati negativi che smentiscono le nostre convinzioni. Perché sapere che cosa è falso, nella scienza (ma non solo) è necessario per conoscere ciò che è vero.»
Ancora una volta Luca Perri trova un modo originale per spiegarci l’importanza del metodo scientifico e la necessità di un lavoro di squadra e dell’esistenza di una comunità scientifica. Parlare ai ragazzi delle medie non è sempre facile, ma il titolo stesso del libro accende la curiosità e ogni capitolo ci regala un po’ di meraviglia, non solo per l’assurdità di alcuni errori, ma anche per i risultati e le scoperte ai quali questi errori hanno condotto. La lettura di questo libro non è consigliata solo ai ragazzi delle medie, ma a tutti coloro che vogliono conoscere meglio il metodo scientifico o hanno semplicemente bisogno di imparare cose sempre nuove. Per gli insegnanti, il libro è ricco di spunti e, almeno per quanto mi riguarda, mi ha suggerito come parlare dell’esperimento di Michelson e Morley in modo più dinamico e originale.
«A volte, quello che sembra il peggior fallimento della tua vita, si rivela il tuo più grande successo.»
«Nel mondo dei frattali» è stato pubblicato nel 2001 nella collana “I dialoghi” della Di Renzo Editore: nato da un’intervista dell’editore Sante di Renzo e grazie alle sue domande Benoit Mandelbrot sviluppa con sistematicità la materia oggetto della sua ricerca e ci racconta la sua vita. Il nome di Mandelbrot è davvero strettamente connesso ai frattali, questi oggetti a metà tra la geometria e l’arte, ai quali lui stesso ha dato il nome, nel 1975: «Il mio sogno era decisamente romantico: trovare un qualche ordine in un campo – anche insignificante – dove chiunque altro aveva visto solo caos!». Mandelbrot ha lavorato dal 1974 al 1993 presso l’IBM, dove, in quanto «ribelle della scienza» ha potuto trovare un ottimo ambiente, «migliore di qualsiasi dipartimento universitario, sia francese che americano». È stato membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, nel corso della sua carriera, tra i quali nel 1993 il Wolf Prize per la fisica.
Il libro è il racconto della sua vita, ma non solo: la nascita a Varsavia, la fuga in Francia per scampare ai nazisti e, dopo gli studi universitari a Parigi, la borsa di studio al Caltech e il lavoro all’IBM sono le tappe che hanno caratterizzato la vita di Mandelbrot, ma c’è dell’altro, come la sua propensione, fin da subito, a risolvere i problemi con l’aiuto della geometria, prima ancora di svolgere i calcoli. Il suo trionfo, i frattali, non sono stati una scoperta immediata, sono piuttosto il frutto di una lenta e graduale maturazione: «Ho concepito, sviluppato e applicato in tanti ambiti una nuova geometria della natura, una geometria che trova ordine nelle forme e nei processi caotici.» Questa geometria era già nata prima di lui, ma non è realmente esistita fino a quando lui non l’ha concepita, dandole un nome nel 1975 e così i frattali, prima considerati «qualcosa di mostruoso, di non intuitivo, bizzarro e impossibile», una volta disegnati a pc, una volta fatta emergere l’«impressionante armonia» che li caratterizza, diventano qualcosa di unico e irrinunciabile, visto che «la geometria frattale, oltre ad essere stata la fonte di nuovi sviluppi matematici, si è resa indispensabile in varie scienze e ha rappresentato il punto di partenza di una nuova arte per amore della scienza». E così, i corsi dei fiumi, le linee di costa, le galassie, la biologia… vengono descritti dalla geometria frattale, perché «le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le costiere non sono cerchi e la corteccia non è liscia, né la luce viaggia su una linea retta».
Il libro è molto breve, ma aiuta a entrare in questo argomento così intrigante: la lettura è stata davvero interessante e, per quanto non entri nello specifico con le definizioni matematiche, aiuta a capire cosa siano i frattali. La vicenda umana di Mandelbrot è affascinante ed è anche per questo che consiglio a tutti questa breve lettura: l’autore desiderava «una matematica più vicina alle forme del reale» e… è riuscito a costruirla!
«La legge del perdente» è l’ultimo lavoro di Federico Benuzzi, docente di matematica e fisica al Liceo Laura Bassi di Bologna, ma anche giocoliere, conferenziere e attore. Personaggio eclettico, mostra tutta la sua originalità in questo libretto dedicato al calcolo delle probabilità. Pubblicato da edizioni Dedalo nella collana “La scienza è facile”, il libro è, a tutti gli effetti, uno dei «Volumi divertenti e indispensabili per conoscere i principi fondamentali della scienza».
Il libro è un racconto, che potrebbe tranquillamente diventare un percorso didattico, come ci dice lo stesso Benuzzi: da un incontro casuale con un umarell, così vengono indicati i pensionati a Bologna, di nome Fazioli, scaturisce una lezione in più puntate sulla teoria della probabilità, che coinvolge anche un cameriere, Andrea, che non sembra avere una grande simpatia per la matematica. «Le pagine che seguono raccontano di un incontro, di gioco d’azzardo, di vite variegate e di matematica. È una storia per tutti: ragazzi, insegnanti, genitori, semplici curiosi… ma soprattutto è per tutti quelli che hanno, ogni tanto, un prurito.» Il prurito di cui parla Benuzzi è il desiderio di fuga che a volte ci porta a sfidare la sorte, giocando d’azzardo, perché in fondo, comprare un biglietto ogni tanto, che male fa? L’autore vuole convincere il lettore che rispondere a questo desiderio non può che portare guai e porta avanti la propria tesi con la forza della matematica.
La storia coinvolge il lettore fin dall’inizio, vista la leggerezza con la quale Benuzzi, nei panni del docente, guida i ragionamenti di Fazioli e Andrea per consentire loro di capire fino in fondo le trappole dei giochi d’azzardo. Un passo per volta e tenendoci per mano, Benuzzi ci porta alla scoperta di un mondo nascosto ai più. D’altra parte, la matematica del calcolo delle probabilità non è così complessa: la sua unica difficoltà consiste nel fatto che, in qualche modo, smentisce le nostre intuizioni e questo ci destabilizza. Il racconto è spesso interrotto per lasciare spazio alle “fantasticherie” dell’autore, che condivide con il lettore le sue riflessioni sull’insegnamento, sulla vita in generale e sulla sua stessa vita: sono pagine bellissime, che da sole valgono l’intero libro.
La lettura è adatta a tutti e, anzi, è consigliata a tutti, soprattutto a coloro che sono convinti di poter cambiare la propria vita con un biglietto della lotteria.
Pubblicato dalla Sironi Editore nella Collana Galapagos, «Io penso che tu creda che lei sappia» è l’ultima fatica di Bruno Codenotti, dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Codenotti è autore anche di «Un biglietto di sola andata» (2015) e «Archimede aveva un sacco di tempo libero» (2016). Come in quest’ultimo, Codenotti ha collaborato con Claudia Flandoli, una giovane fumettista. La loro collaborazione permette di trattare argomenti anche abbastanza complessi, mitigandone la difficoltà con la forza esplicativa del fumetto, che, replicando in forma diversa i contenuti appena trattati, ne consente una più facile comprensione.
Il libro è un saggio di logica, ma non solo: la logica fa da sfondo agli «scenari di interazione tra più persone, sia di natura conflittuale che collaborativa», che i fumetti contribuiscono a descrivere con dovizia di particolari, in un modo che il semplice linguaggio non riuscirebbe ad uguagliare. Andando al di là dei nostri schemi mentali, puntando il dito su ciò che non sempre riusciamo a conoscere, gli autori ci propongono «problemi e situazioni di natura interattiva, per affrontare i quali» siamo chiamati ad investigare con gli strumenti della logica.
Diviso in sei capitoli, il libro ci guida, a partire da alcuni esempi introduttivi, fino al cuore dell’epistemologia e della logica, illustrandoci i loro strumenti fondamentali. Dopo una prima metà, che ci porta sul terreno di gioco, i successivi tre capitoli sono dedicati ai paradossi e ad «una carrellata di problemi e situazioni di natura interattiva», che spaziano dalle strategie militari ai problemi di Martin Gardner.
Ogni paragrafo si apre con una citazione che dà leggerezza, ma al tempo stesso ci introduce nell’argomento trattato, e si chiude con uno schema riassuntivo, a metà tra la vignetta e la mappa concettuale, che è molto chiaro e aiuta a fare mente locale su quanto letto, prima di chiudere il cerchio con una ricca nota bibliografica, che ci propone alcuni approfondimenti e, al tempo stesso, consente di ridurre notevolmente il numero delle note a piè pagina. Trattazione teorica e fumetti sono così ben amalgamati che si passa fluidamente da uno all’altro, visto che la prima introduce il secondo e il secondo spiega la prima. Grazie a questo stile, la lettura è stata interessante e scorrevole e non si può arrivare in fondo senza riconoscere quanto di nuovo si è imparato, perché «per ragionare correttamente bisogna mettere a dura prova anche la nostra volontà e allenarla a esercitare il pensiero con la dovuta precisione e con la disponibilità ad abbandonare gli schemi mentali entro cui ci sentiamo al sicuro».
Assolutamente consigliato a chiunque abbia voglia di mettersi in gioco e di conoscere qualcosa di più riguardo al «non detto» dei rapporti interpersonali. La logica, dopotutto, non è confinata nell’ambito del linguaggio matematico.
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