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Sabato, 21 Aprile 2018 21:26

La forza nell'atomo

«La forza nell’atomo» è uno dei titoli della collana “Donne nella scienza” di Editoriale Scienza: si tratta di una serie di «ritratti complessi e appassionanti» di donne che diventano «uno stimolo e un modello in cui riconoscersi». Non poteva, quindi, mancare Lise Meitner, descritta e raccontata in modo da essere comprensibile anche per i ragazzi delle medie. L’autrice, Simona Cerrato, è laureata in fisica e, grazie anche alla sua preparazione, riesce a trovare le parole giuste per descrivere l’importanza dei lavori della scienziata, mentre le illustrazioni di Anna Curti aiutano la fantasia dei più piccoli, regalando una storia nella storia attraverso le immagini.

Il racconto, in prima persona, ci permette di rivivere una pagina della storia europea, tra le più dolorose, con le persecuzioni antisemite e la seconda guerra mondiale. La storia inizia con la fuga della Meitner, che, abbandonando Berlino nel luglio del 1938, ripensa al proprio percorso come scienziata, iniziato trent’anni prima: «Allora ero solo una giovane fisica appassionata: avrei fatto qualunque sacrificio, avrei lavorato anche in una stalla pur di fare fisica, pur di avere un laboratorio.»

Lo stile dell’autrice è leggero, ma non banalizza la vicenda: sembra di sentire la voce della Meitner, come fosse una nonna che racconta la propria vita ai nipoti, un “granello di polvere” – così l’avevano soprannominata in famiglia per la sua corporatura minuta – che è riuscito a cambiare il corso della storia, con la propria tenacia e la propria forza. La lungimiranza di papà e mamma che, in un’epoca in cui il percorso universitario è praticamente impossibile per le donne, la sostengono in ogni modo, l’incontro con Ludwig Boltzmann, che diventa per lei un maestro di vita, l’arrivo a Berlino e la stima di Planck, che, nonostante creda che la scienza non sia un’attività per donne, le permette di cominciare la sua carriera accanto a Otto Hahn, un chimico suo coetaneo: gli ingredienti della storia di Lise sono tanti, ma non sono certo frutto della fortuna o del caso. La vita di Lise è anche attraversata dalla tragedia del nazismo che, in parte, contribuirà a compromettere la sua carriera scientifica, non consentendole, a causa della fuga e del comportamento non certo pulito di Hahn, di ottenere il meritato Premio Nobel. Durante la lettura, sembra di sentire l’amarezza di Lise e la sua tristezza, nel dover ricominciare da zero dopo la fuga da Berlino, ci viene trasmessa non solo con le parole ma anche con le immagini, come la splendida pagina in cui Lise guarda la sua valigia, appoggiata su una sedia: «Non puoi renderti conto di che cosa significhi per me, una signora di sessant’anni, vivere in una stanza d’albergo da ormai nove mesi!»

Questo libretto riesce a farci toccare con mano tutta la forza che è stata necessaria per emergere in un mondo governato da uomini, tutta la resilienza che la Meitner ha dovuto mettere in gioco per superare le delusioni che hanno costellato la sua vita, tutta l’importanza di una scoperta scientifica che è nota più che altro per aver reso più spedito il cammino verso la bomba atomica.

Consiglio la lettura di questo libretto non solo ai ragazzini delle medie: rileggere storie importanti come questa con un linguaggio semplice ci permette di capirle meglio, senza sminuirne l’importanza.

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Domenica, 21 Giugno 2015 12:14

Il caso Eduard Einstein

TRAMA:

Nel 1930, il secondogenito di Albert Einstein e Mileva Marić, Eduard, fa il suo ingresso al Burghölzli, la clinica psichiatrica dell’Università di Zurigo. Nato il 28 luglio del 1910, Eduard aveva un’intelligenza geniale, ma anche molti comportamenti strani, fin dalla più tenera età, comportamenti che sfociano nel ricovero del 1930, dopo un episodio di violenza contro la madre: “Ci sono anche quelle voci che mi sussurrano all’orecchio parole che mamma non sente.” Eduard è schizofrenico e numerose sono le cure che vengono tentate per migliorarne le condizioni. Quando riceve la notizia del ricovero, Albert Einstein sta vivendo le persecuzioni naziste, tanto che nel maggio del 1933 decide di lasciare Berlino per fuggire in America. Prima di lasciare l’Europa, si ferma a Zurigo per vedere il figlio, che nel corso degli ultimi tre anni ha subito un ricovero dietro l’altro. Durante la breve visita, Albert e Eduard suonano insieme, ma l’incontro è comunque difficile: Albert chiede al figlio di seguirlo in America, ma il figlio mostra solo rabbia nei suoi confronti.

Nel 1935, Mileva tenta la cura dell’insulina del dottor Sakel e per un mese Eduard viene tenuto in coma, ma non ci sono grandi miglioramenti. Besso, il miglior amico di Einstein, è rimasto a Berna e tiene informato il padre dell’evoluzione della malattia. Vorrebbe che lo scienziato prendesse con sé il figlio e Albert prova a parlarne con i funzionari dell’immigrazione, ma non è possibile: solo ad Hans Albert è concesso di raggiungerlo.

Nel 1948, dopo un breve ricovero al Burghölzli a causa di un’ischemia, Mileva muore. Per Einstein è un momento di grande tristezza, mentre Eduard fatica a cogliere il senso di una simile notizia, ma anche se non ne è consapevole, ha perso i suoi punti di riferimento. Gli assegnano quindi una famiglia adottiva, sulle colline di Zurigo. Quando Carl Seelig, un giornalista, contatta Albert per diventarne il biografo ufficiale, gli chiede anche di incontrare Eduard e di poterne diventare il tutore. Lo incontrerà più volte e a lui Albert confiderà tutta la sua tristezza e la sua impotenza: “Si stupirà per il fatto che non intrattengo rapporti epistolari con Teddy. Dietro a questo, c’è qualcosa che non riesco ad analizzare del tutto. Bisogna però anche dire che temo di destare in lui sentimenti dolorosi, di diversa natura, per il solo fatto di farmi vivo con lui.” Per Einstein, Eduard resta un “problema senza soluzione”.

Albert muore a Princeton nel 1955, mentre Eduard conclude la sua esistenza al Burghölzli nel 1965.

 

COMMENTO:

Un romanzo corale, nel quale si alternano le voci di Albert Einstein, della prima moglie Mileva e del loro secondogenito, Eduard. Un romanzo intenso, come intensa è stata la vita di Eduard, con la malattia che ha compromesso la sua genialità.

Il ritratto di Einstein, con le sue luci e le sue ombre, che emerge da questo romanzo è un ritratto che non dimentica nulla: Einstein ha avuto il coraggio di combattere le ingiustizie del mondo, dal nazismo alla segregazione razziale contro i neri in America, facendosi persino accusare di comunismo dai media americani, ma non è mai stato in grado di andare a trovare il figlio, dopo averlo salutato nel 1933, al momento della sua partenza per l’America. Seksik, per certi aspetti, giustifica l’atteggiamento di Einstein, lo descrive come un padre che non ha saputo confrontarsi con la sofferenza di un figlio imperfetto, che lui stesso ha contribuito a mettere al mondo. È forse questa intensità ciò che colpisce di più nel romanzo: Einstein, ritratto in genere come l’uomo geniale, il grande scienziato che ha cambiato la nostra storia, è in questo libro soprattutto un padre, con la sua sofferenza e la sua umanità.

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