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Giovedì, 01 Agosto 2013 07:58

Il pallino della matematica

TRAMA:
Attraverso un attento esame degli animali e dei bambini, l’autore ci convince innanzi tutto che le nostre competenze matematiche hanno radici biologiche. Nel mondo animale, l’aritmetica è molto diffusa, forse anche grazie al vantaggio selettivo che essa procura, ma i numeri percepiti dagli animali non sono quantità esatte. Gli uomini sono dotati di una rappresentazione mentale delle quantità molto simile a quella che ha un animale. Nel corso degli anni Ottanta, in bambini di meno di sei mesi e persino in neonati di qualche giorno, sono state riscontrate autentiche capacità numeriche: neonati di tre o quattro giorni sono in grado di distinguere il 2 dal 3, e sanno che 1+1=2. L’assenza di un linguaggio non impedisce i calcoli numerici elementari, anche se le abilità del bambino sono limitate agli aspetti più semplici dell’aritmetica. La sola nozione aritmetica di cui il bambino sembra essere privo è forse la relazione di ordine, ma in ogni caso è un matematico migliore di quanto immaginassimo.
Come ha fatto l’uomo a superare lo stadio dell’approssimazione dei numeri? Pare che la numerazione più evoluta passi attraverso il conto delle diverse parti del corpo, per arrivare alla notazione posizionale in base 10, che ha semplificato i calcoli, l’apprendimento, la lettura, la scrittura… Nonostante la semplicità del nostro sistema di numerazione, però, un numero elevato di persone commette errori nei calcoli più elementari. Eppure a tre anni e mezzo un bambino si destreggia già nell’arte del contare e tra i quattro e i sette anni, non solo capisce i calcoli che fa, ma li sceglie molto accuratamente. Purtroppo, cominciando a frequentare la scuola, si passa a un’aritmetica imparata a memoria e nascono le prime difficoltà: le tabelle della moltiplicazione e dell’addizione, a causa della loro struttura, non sono certo facili da imparare e fatichiamo a conservarle in compartimenti separati. Forse sarebbe utile modificare i metodi di insegnamento, interrogandoci sull’opportunità di inculcare gli algoritmi di calcolo a viva forza nella mente dei bambini. L’autore sostiene che un uso ragionato della calcolatrice potrebbe liberare il bambino dagli aspetti fastidiosi e meccanici del calcolo, permettendogli di concentrarsi sul significato e aiutandolo a sviluppare il suo senso naturale di approssimazione. 
Cosa distingue Einstein, o comunque un uomo dalle prodigiose capacità di calcolo, da un comune mortale? Il genio è un dono innato, legato a un’organizzazione cerebrale diversa o è il risultato di anni di allenamento all’aritmetica? L’ipotesi di un legame diretto tra la misura del cervello e l’intelligenza è stata rifiutata, come pure quella di una superiorità maschile. Numerosi ricercatori si sono sforzati di trasformare, con un intenso allenamento, studenti normali in prodigi di memoria o di calcolo e i risultati dimostrano che la passione può generare il talento. 
Seguendo i numeri fin dentro la corteccia cerebrale, attraverso la neuropsicologia conoscitiva e le nuove immagini del cervello in azione, l’autore spiega che l’idea che il pensiero possa essere localizzato in un piccolo numero di regioni cerebrali è stata abbandonata. Infatti, ciascuna operazione aritmetica fa entrare in attività una rete cerebrale estesa e la logica e il calcolo sono proprietà accessibili soltanto a cervelli opportunamente educati. La difficoltà della matematica è dovuta, secondo l’autore, all’architettura del nostro cervello, inadatta a lunghe catene di ragionamenti simbolici.
 
COMMENTO:
Lettura interessante sia per gli insegnanti, che possono trovare interessanti suggerimenti per far odiare un po’ meno la matematica agli alunni, sia per gli alunni, che hanno la possibilità di convincersi che il talento per la matematica non è unicamente un dono innato.

Informazioni aggiuntive

  • Autori: Dehaene Stanislas
Letto 5350 volte Ultima modifica il Martedì, 06 Agosto 2013 07:46